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Le più famose: le acciughe del Cantabrico e di Cetara

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La regione dove si pescano e si producono famose acciughe è il Golfo di  Biscaglia nell’Oceano Atlantico.

Questa zona va dalla costa sud ovest della Francia fino ai bordi superiori della Spagna. La parte terminale del golfo prende la denominazione in lingua spagnola di “Mar Cantabrico” appellativo attribuito dai Romani nel primo secolo avanti Cristo come “Sinus Cantabrorum” o più spesso “Mare Gallaecum”.
Nel secoli in questa zona si è sviluppata una delle attività più importanti dell’industria ittica, la pesca e la lavorazione delle acciughe, note appunto come acciughe del Cantabrico uno dei prodotti alimentari più pregiati al mondo.
Le acciughe del Cantabrico sono mediamente più grandi di quelle del Mediterraneo, più carnose, saporite e gustose. L’acciuga della Biscaglia in particolare, nasce e cresce in mari freddi e profondi, il che permette a quest’ultima, di accumulare una maggiore quantità di grasso nei tessuti e sviluppare dimensioni davvero ragguardevoli. Gli Spagnoli amano gustarle fresche, alla griglia o marinate senza testa e interiora. I veri intenditori e i buongustai conservano questo prodotto anche oltre la data di scadenza in modo da lasciarlo “maturare” solo per apprezzarne successivamente il sapore e la delicatezza acquisiti col tempo.
Il migliore pescato proveniente dall’oceano prospicente Santona, Castro Urdiales e San Vicente de la Barquera viene trasportato nelle città più importanti della regione, dove l’industria ittica conserviera, facendosene immediatamente carico, lo invia alla lavorazione, al fine di ottenere un prodotto di qualità superiore.
La lavorazione delle acciughe, rigorosamente manuale, viene ancora eseguita in modo artigianale negli stabilimenti e conservieri, locati nella zona di pesca. Le acciughe vengono dapprima selezionate in base alle loro dimensioni e peso, che in media si aggira sui 35 g, e calibrate secondo sei diversi formati. Superata questa prima operazione di cernita, l’acciuga viene privata della testa e delle viscere, lavata con della salamoia (soluzione idrosalina al 24%), asciugata e riposta in barili sotto sale marino, processo atto a favorirne la stagionatura e la “maturazione” sino al prodotto finito, tramite l’espulsione da parte dei tessuti, non solo dell’acqua ma anche di parte del grasso accumulato durante il periodo di crescita. Tale processo dura in media 6 mesi fino a un massimo di 10 durante i quali, i barili, nei quali sono disposte le acciughe, vengono sottoposti a rotazione e a un processo di pressatura esterna per favorire ulteriormente l’eliminazione dei grassi  in eccesso. Completato il percorso di stagionatura il prodotto viene  lasciato ancora per due mesi a temperatura controllata di 5°C per poi essere sottoposto ad un ciclo di lavaggi con acqua fredda, calda e salata, e infine inscatolato manualmente in latte delle dovute proporzioni e dimensioni ricoperto da olio di oliva.

Le acciughe di Cetara.

La colatura di alici di Cetara è un prodotto agroalimentare tradizionale campano, prodotto nel piccolo borgo marinaro di Cetara, in Costiera Amalfitana. La colatura di alici è una salsa liquida trasparente dal colore ambrato che viene prodotta da un tradizionale procedimento di maturazione delle alici. Le alici impiegate sono pescate nei pressi della costiera amalfitana nel periodo che va dal 25 marzo, che corrisponde alla festa dell'Annunciazione, fino al 22 luglio, giorno di Santa Maria Maddalena.

Terzigno

Deve il proprio nome dalla sua forma che è di un terzo di botte, dove le alici appena pescate, vengono sottoposte a decapitazione ed eviscerazione (‘scapezzate’) a mano, e sistemate con la classica tecnica ‘testa-coda’ a strati alterni di sale ed alici fatto in legno di rovere.
La colatura di alici, tradizionale di Cetara, è il liquido ambrato che si ottiene lasciando maturare le alici sotto sale pescate nel golfo di Salerno nel periodo primaverile (da fine marzo a inizio luglio). Le acciughe appena pescate sono pulite a mano e messe sotto sale in appositi contenitori in legno detti "terzigni". Trascorsi 4-5 mesi, il liquido che fuoriesce dal foro praticato nel fondo del contenitore viene raccolto e usato come condimento unico nel suo genere, particolarmente indicato per condire spaghetti o linguine. La colatura del Presidio si riconosce perché viene venduta in apposite bottiglie di vetro.
Questo condimento è sicuramente di origine orientale e prende il nome dal misterioso pesce “Garos” (forse si tratta delle comunissime alici) da cui probabilmente poi prese il nome la salsa che gli antichi greci chiamavano “Garon”, e i romani ribattezzarono in “Garum”.
L’uso del Garum fu introdotto a Roma durante le guerre puniche quale condimento di pietanze a base di carne, pollo, agnello, verdura. Si produceva diffusamente nei centri nordafricani da Cartagine alla Numidia, l’attuale Algeria. A partire dal II secolo A. C. questa salsa a Roma ha un successo sempre crescente. La qualità del garum nell’antichità veniva indicata con lettere dipinte sulle anfore ed assicurava anche l’anno di produzione. Le migliori salse erano denominate Garum Excellens (ottenuta con alici e ventresche di tonno); Garum Flos Floris (sgombro, alici, tonno); Garum Flos Murae (murene); infine c’era una qualità ottenuta dalle ostriche, salsa per nababbi o esibizionisti, usata in banchetti particolari.
Il miglior Garum veniva prodotto da una cooperativa di Cartagine, il cosiddetto Garum Sociorum, e veniva prevalentemente utilizzato lo sgombro; ottimi, anche se più economici, erano i tipi prodotti a Pompei, Antibes (Costa Azzurra) e in altri centri del Mediterraneo.
Queste salse verranno utilizzate fino a quando saranno superate per qualità e profumo, nonché per semplicità di produzione, dalla realizzazione della “Colatura di alici” (come la intendiamo oggi) avvenuta probabilmente intorno alla seconda metà del XIII secolo, ad opera dei monaci cistercensi della canonica di San Pietro a Tuczolo, colle nei pressi di Amalfi. I monaci possedevano una modesta flotta che utilizzavano per il trasporto del frumento e che nei mesi estivi trasformavano in pescherecci per la pesca del pesce azzurro, particolarmente delle alici. I monaci possedevano anche dei locali per la conservazione del pescato, nei quali riponevano botti contenenti alici private della testa e delle interiora, alternate a strati di sale. Sulla copertura della botte (tompagno) riponevano un pesante masso che permetteva al liquido in eccesso di depositarsi sul fondo del barile e attraverso le doghe scollate di versarsi sul pavimento. Il profumo e la limpidezza di questo liquido che colava sul pavimento indussero i monaci a raccoglierlo in recipienti e a portarlo all’attenzione del fratello che si occupava di cucina, il quale immediatamente utilizzò il liquido per condire le verdure lesse, aggiungendovi spezie, aromi e l’olio. I monaci mandarono questo nuovo condimento in dono ai conventi e a molti cittadini della zona, che successivamente si industriarono per preparare il liquido nelle proprie case. Finchè qualche persona della zona ebbe la felice intuizione di usare il cappuccio comunemente adoperato per stillare il mosto, per filtrare anche i liquidi e le alici spappolate residuati nei fondi dei vasi di terracotta, facendo nascere la colatura di alici che attualmente si produce.